30 marzo 2014

Outlast - Recensione

C’è chi gioca a calcio, chi gioca a ping-pong, chi gioca con le costruzioni e chi gioca con le carte. Poi ci sono i Red Barrels che si divertono a giocare con la paura. Se sei un regista cinematografico ti cimenterai nel girare una pellicola horror. Nel caso nostro si tratta di giovani sviluppatori di videogames, e quindi è lecito pensare che l’horror in questione sia un videogioco, ma attenzione: esistono videogiochi horror, e videogiochi horror, nei quali per esempio, dover affrontare schiere infinite di zombie e mutanti a suon di mazzate, bene armati e molto ben corazzati. Poi esistono videogiochi horror nei quali dover districarsi fra labirintici sistemi di corridoi di navicelle spaziali, entro i quali potremmo imbatterci in alieni a dir poco socievoli. Esistono gli horror con inquadrature dall'alto, somiglianti più a sparatutto, ne esistono altri nei quali i frangenti di reale spavento saranno davvero sporadici. Poi infine, c’è Outlast.

Outlast è un gioco uscito per PC nel Settembre del 2013, e ripropostoci recentemente (più precisamente il 5 Febbraio 2014) su Playstation 4 grazie ad una sottoscrizione Playstation+. Survival horror per eccellenza, questi vi terrà saldamente immobilizzati difronte lo schermo con le sue meccaniche base in grado di renderlo un titolo che contemporaneamente all’amore, genererà odio suscitato da profondi spaventi. Sì perchè fondamentalmente l’opera dei Red Barrels non potrebbe presentarsi più scarna di quanto effettivamente appare in termini di gameplay. Il protagonista è Miles Upshur, giornalista guidato da un senso di moralità profondo, insitllato mano a mano dalla prorompente fame di verità scatenata da un curioso e al quanto misterioso documento rilasciatogli da parte di un anonimo. Secondo quanto scritto, è necessario recarsi presso il manicomio di Mount Massive ed indagare affondo al suo interno, alla ricerca della verità riguardo gli insensati fatti che accadono in questo luogo. Sarà perciò utile, ignari del pericolo effettivo, armarsi di videocamera e taccuino. Solo questi due elementi di gioco infatti saranno i nostri unici compagni di viaggio, e saranno molte le occasioni nelle quali malediremo il fato di non averci procurato altro di più utile, o meglio efficace quanto una bocca da fuoco. Tale videocamera per l’appunto, sarà dotata di una modalità “notturno” grazie alla quale, una volta attivata (tenendo conto delle batterie che la alimentano ad ogni utilizzo, e che in pochi minuti saranno totalmente consumate da doverne ricercare di altre, tanto sparse per i livelli quanto il livello di difficoltà che selezioneremo ad inizio avventura), potremo inoltrarci nelle zone di totale oscurità che avvolgeranno moltissime aree del manicomio in diverse sezioni di gioco. Apprese le nozioni riguardanti il funzionamento della videocamera, basterà semplicemente proseguire secondo tracciati lineari ben mascherati, che alle volte si dipaneranno in bivi secondari utili solamente per l’acquisizione di quegli esigui collezionabili ai quali dover tenere conto nel folle caso fossimo nelle condizioni cardiache giuste da spingerci oltre l’umana concezione. Superate le fasi di esplorazione sarà quasi sempre abbastanza intuibile dover fuggire a gambe levate da mutati di passagio, fratelli gemelli armati di coltellaci, completamente nudi e avidi dei vostri testicoli, omoni dediti allo svisceramento e tante altre creature ambigue dalle quali doversi nascondere. Nelle fasi in cui al contrario dovremo restare immobili ed in silenzio ci torneranno d’aiuto le zone in penombra (nelle quali solamente noi potremo vedere) e alcuni armadietti dalle quali fessure, una volta all’interno, poter spiare i nostri malati predatori prima che si allontanino (o magari fingano di farlo).
Non mi dilungherò oltre nella descrizione della trama, tenendomi molto distaccato da eventuali riferimenti che andrebbero a snaturare le fattezze del titolo in analisi, completamente fondate su una struttura solida e allo stesso tempo vibrante costituita da “ignoranza” e “tensione”. Outlast infatti verte molto, anzi direi completamente, sull’aspetto emotivo del giocatore. E’ un gioco quasi del tutto disparato di script. Se da una parte però potremmo a questo punto pensare che ciò non faccia altro che aumentare il livello di attenzione dell’utente, e perciò rischiare che questi non resti più immerso nello status di dubbio costante, di sensazione di imminente indecifrabile pericolo, dall’altra non dobbiamo scordare quanto un buon lavoro sulla distribuzione di tali animazioni pre-programmate lungo tutta la breve campagna (che si attesta intorno le 8 ore), possa inversamente donare una maggior aurea di elettrizzante e nauseante senso di impellente terrore. Chi gioca di conseguenza, pur cosciente di avere difronte un potenziale script, esita nel proseguire verso esso (e la maggior parte delle volte sarà necessario farlo), perchè lasciato appositamente a conoscenza del fatto che qualunque cosa può rivelarsi fatale per le nostre coronarie, come sorprendentemente potrebbe non esserlo (magari solo per il momento). Doversi preoccupare in precise circostanze di dover aver timore ed essere accorto o meno, è una formula geniale e di conseguenza vincente.
Inizierete Outlast sicuramente con un accenno di spavalderia, mossa più che sbagliata. Man mano muterete la vostra condizione in timore, una forma meno intensa di paura, nella quale avrete percezione della possibilità di perdere il piacere ma verso la quale vi muoverete comunque. L’ansia sarà la successiva a farsi presente, trasportandovi in una dimensione nella quale non saprete più cosa aspettarvi pur essendo stati fino a pochi secondi prima certi della situazione alla quale avevate deciso di andare incontro. La paura sopraggiungerà quando la minaccia sarà lampante, ed esploderà ben presto in panico, quest’ultimo correlato alla claustrofobia. Quando infine vi paralizzerete dal terrore, sarà impossibile proseguire nei più riusciti momenti del titolo, e sarà imperativo (e quasi consequenziale) il tenersi lontani dal gioco per qualche ora, giusto il tempo di riprendere fiato e ricoleggarsi con il mondo reale, nel quale fino a prova contraria siamo abbastanza convinti non vi siano macabre rappresentazioni comparabili a quanto giocato. La paura in Outlast è scienza, è cimento indiscutibilmente di sopraffina fattezza. Ad implementare un prodotto del genere talmente riuscito, non può fare da meno un sonoro eccellente (affanni del protagonista, ticchettio della pioggia sulle vetrate del manicomio, passi lenti che tendono a far scricchiolare il pavimento sotto i nostri piedi, urla, grida, sussurri, stridii) e un’atmosfera generale davvero da incubo ad opera del motore grafico (Unreal Engine).
A parte qualche rarissima imprecisione nelle movenze del personaggio e dei matti, tralasciando la longevità sicuramente esigua in confronto al potenziale del gioco e quindi all'aspettativa che vi si nutre, l’opera dei Red Barrels è degna di nota, un vero gioiello, consigliatissimo l’acquisto. In attesa del DLC che verrà annunciato durante il mese di Aprile, invito chiunque a prendere coraggio, possibilmente piazzarsi difronte una PS4 con un amico o con la ragazza e dare vita ai vostri peggiori incubi. Che Outlast vi perseguiti durante notti insonni; se vi dimostrerete degli inermi, scialbi principianti, non vi preoccupate: dopotutto rimane sempre il buon vecchio Youtube.

VOTO: 8

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